Don Enrico Mapelli esempio fulgido di operosità
di La Prof
C’è stato un tempo in cui le campane a Sesto San Giovanni suonavano per davvero. Se abbiamo le otto della Basilica di Santo Stefano, consacrate dal Cardinal Ildefonso Schuster, lo dobbiamo a un sacerdote di Roncello (MB), inviato dall’alto prelato in città dalla vicina Vedano al Lambro per divenire prevosto. Correva l’anno 1933 e l’Italia viveva nella morsa del regime fascista.
Il nome di Don Enrico Mapelli, Medaglia d’Oro al Valore Civile del nostro Comune, si intreccia non solo con la comunità di parrocchiani che ha guidato per quindici anni, regalando loro, tra gli altri, il campanile dalla forma inconfondibile che ancor oggi si ammira; ma, soprattutto, con le vicende della lotta partigiana. La toponomastica sestese lo ricorda in una piazza dell’area Marelli dove si innalza un edificio che caratterizza fortemente lo skyline cittadino: la Torre Sospesa dell’architetto Giancarlo Marzorati, scomparso all’improvviso la scorsa vigilia di Natale.
L’attivismo di questo sacerdote era ben chiaro agli uomini del Duce: “Altro da far saltare sarebbe il prevosto di Sesto San Giovanni, certo don Mapelli, che tanti danni ha già arrecato al governo della Repubblica sociale […]. La sua parrocchia è un formicaio di antifascisti, di ribelli, di sabotatori”, così il comandante della Brigata Nera “Aldo Resega” in un rapporto della fine del 1944.
Le delazioni in Curia e le denunce alle autorità seguite agli interventi netti del parroco dal pulpito non fiaccarono in alcun modo lo spirito di Don Mapelli, che già nel 1924, ancora a Vedano, si era visto minacciato di morte dagli squadristi che avevano devastato il circolo di Azione Cattolica da lui aperto e organizzato.
Tanti i meriti di questo prete interessato all’educazione dei giovani e al sociale. Aprì le porte della canonica alle riunioni del Comitato di Liberazione Nazionale, divenendone tesoriere. Il teatro parrocchiale presso l’asilo Petazzi fu sede del comando della 25° Brigata del Popolo; con l’oratorio San Luigi fungeva da nascondiglio per i ricercati e per le armi, centro di raccolta/diffusione della stampa clandestina e di documenti falsi utili per l’espatrio. Sempre a Don Mapelli si devono la liberazione di persone tratte in arresto, la distruzione di un elenco con un centinaio di nomi di operai da deportare in Germania, il salvataggio di un partigiano catturato dai fascisti che volevano fucilarlo, il benestare alla celebrazione di funerali religiosi per due operai del Villaggio Falck passati anch’essi per le armi dalle milizie della dittatura. Indimenticabile, poi, l’esperienza dell’ospedale da campo San Clemente e del centro di raccolta per ex deportati allestiti presso l’asilo Petazzi, lì dove ancor oggi li ricorda una lapide. Il 22 aprile 1948 la nostra città perse un uomo che “nei momenti difficili e tormentosi della Resistenza, non curandosi della propria persona, seppe essere vicino ai suoi parrocchiani, difenderli contro tutti i soprusi e le ingiustizie” (motivazione per il conferimento della Medaglia d’Oro).