Il diritto di critica politica, si sa, è il sale della democrazia. Lasciando stare i massimi sistemi europei ed italiani e guardando più semplicemente in casa nostra, lo stesso concetto dovrebbe valere anche per le opinioni espresse nell’ambito del consiglio comunale. Possono anche essere aspre e in alcuni casi perfino fastidiose, ma di esponenti che siano solamente degli “Yes Man”, in grado al massimo di alzare la mano per votare a favore, contro o astenersi, diciamola tutta, non ce ne facciamo molto. Serve gente che parli, serve il confronto. E così capita che la consigliera di Reinventiamo Sesto Hamdy Soad prenda una posizione netta nei confronti dell’amministrazione a causa di due copertine del mensile “Notizie in Comune”, in cui viene pubblicata la foto di Silvia Sardone, candidata alle europee. Hamdy ha segnalato questa decisione come un uso improprio di un mezzo di informazione pubblica (ricordiamo che parliamo del notiziario comunale, su cui ci lavorano dipendenti pubblici, il cui stipendio lo pagano i cittadini, e poco importa se ci sono entrate anche grazie agli spazi pubblicitari).
Apriti cielo. Il presidente del consiglio Davide Coccetti cerca in tutti i modi di non fare proseguire la consigliera, arrogandosi il diritto di scegliere cosa possa o non possa dire, nell’ambito della sua carica, un esponente del parlamentino.
E se finisse qui sarebbe una pagina triste della politica locale, ma ancora piccola. Invece no. In una successiva seduta, il consigliere comunale della lista Di Stefano, Roberto Bonato, ha pensato bene di tornare sulla questione. Come? In pratica facendo sapere alla collega che la lista di Stefano è molto “arrabbiata”, che si sente tirata in causa (testuali parole: “Come consiglieri ci riteniamo immotivatamente accusati di aver violato la legge”) non si sa esattamente per quale motivo, visto che al massimo Hamby ha attaccato l’operato dell’amministrazione comunale, non certo i consiglieri di maggioranza e che si chiederà di “verificare attraverso l’avvocatura comunale se sia possibile formulare querela nei confronti della consigliera per calunnia, per aver accusato l’amministrazione di utilizzo di fondi pubblici per scopi privati”.
Va bene, prendiamo atto delle dichiarazioni di Bonato, abbiamo detto che è il sale della democrazia, e di certo non ci sottraiamo a questa affermazione. Però un paio di osservazioni sono necessarie. Innanzitutto è stato molto anomalo che a prendere la parola non sia stato il capogruppo Federico Pogliaghi. Inoltre, cosa che non va sottovalutata, siamo davanti a un’iniziativa che non riguarda tutta la maggioranza, bensì solamente una sua lista. C’è anche da sottolineare che Bonato ha parlato di querela per calunnia, quando al massimo si potrebbe ravvisare il reato diffamazione. A livello giuridico, infatti, la calunnia è quando si denuncia all’autorità giudiziaria un fatto che non è vero, altrimenti si tratta, appunto, di diffamazione. E quest’ultima, in ambito politico, registra un sacco di sentenze di assoluzione, entrando nel cosiddetto diritto di critica. Insomma, chi ha imboccato Bonato (perché si presume che non sia stata una sua iniziativa, ma una scelta ragionata di comune accordo con altri colleghi) non è stato precisissimo. Potremmo chiuderla qui, ma manca ancora un aspetto che va sottolineato. Bonato ha preso la parola durante l’approvazione di un verbale di una precedente seduta consiliare. Crediamo di non sbagliare se affermiamo che in questo caso si può intervenire solo per specificare eventuali proprie dichiarazioni e non certo commentare quelle altrui. Tecnicamente il presidente del consiglio non avrebbe dovuto lasciare spazio al collega di maggioranza e di lista civica. Se ne sarà scordato.